Dimitri NICOLAU
CANTI DALLA RESISTENZA op. 31 (1979)
Cantata in dieci Quadri ed un Epilogo
con Soprano, Contralto, Baritono, Voci Recitanti e Orchestra Sinfonica
Prima realizzazione 13 Novembre 1982, nella stagione dei concerti della Istituzione Sinfonica Abruzzese, Auditorium del Castello, L'AquilaLa proposta di lavorare su una composizione musicale di ampia portata sulla resistenza é venuta fuori da più dialoghi con Vittorio Antonellini e anche da vicende politiche mie personali che non starò qui a raccontare.
Si trattava di lavorare su un tema di impegno civile, ad esempio, la recente storia dei mio paese d'origine, la Grecia o del Cile, dei paesi dell'America Latina e di altri.
Fino ad allora avevo avuto una certa difficoltà a cimentarmi con questo genere di tematiche, non tanto perché desiderassi o sentissi di appartenere alla schiera dei compositori «puri e neutrali», quanto perché temevo il rischio di cadere nelle pastoie di un certo filone di compositori che mascherandosi dietro il manto concettuale dell'impegno civile si presentano con delle composizioni di cui unico elemento civile si esaurisce al ... titolo. Tuttavia, gli stimoli ricevuti da quei appassionati dialoghi con Antonellini mi hanno spinto, direi piacevolmente costretto, di tentare di tracciare e raccontare una storia diversa e pur tenendo conto della storia dei fatti io ero assolutamente libero soprattutto nel comporre musicale.
Ho iniziato, dunque, a vedere cosa succedeva all'interno delle carceri attraverso una ricerca su documenti e testimonianze. Esaminando via via la gran mole di materiale raccolto, un aspetto emergeva con notevole frequenza e non finiva mai di coinvolgermi: l'enorme capacità umana di resistere a tutti i tipi di violenza subita, dalle torture, alla segregazione, all'isolamento totale. In primo luogo la resistenza fisica, poi quella più interiore, a non lasciarsi distruggere il pensiero. Si vedeva infatti che persone, le più diverse tra loto, non solo erano riuscite a superare materialmente tali situazioni disumane ma anche a raccontarle, denunciarle, a farne oggetto di messaggio etico, spesso a comunicare addirittura in forma altamente poetica: in breve, ad esprimere tutta la forza della propria resistenza. "Nonostante le torture subite".
Ed è questo il nucleo tematico che ha provocato dentro di me delle risonanze, delle forti emozioni. Eravamo nel 1978, dopo circa un anno la partitura era pronta.
L'anno scorso (1982) è stata la prima realizzazione pubblica con numerose repliche in diverse città. Ora, nel 1983 viene proposto di nuovo e fondamentalmente con gli stessi interpreti.
Quaranta anni fa si dava inizio alla Resistenza contro il nazifascismo. A quarant'anni di distanza, in un periodo della nostra storia per alcuni versi forse ancora più difficile, complesso e critico, la resistenza a ricatti e terrorismi di qualsiasi genere e verso le confusioni di ogni ordine, specie quello della cultura ufficiale, diventa ancor più necessaria.
All'inizio del lavoro troviamo l'esperienza di Alessandro Panagulis che sintetizza in modo esemplare le torture fisiche che migliaia di persone hanno subito e che subiscono in varie parti del mondo. Egli infatti con le poesie e le lettere scritte in carcere ce ne mostra tutto l'orrore. Malgrado il grande dolore però, egli non perde mai la propria presenza, la lucidità che gli consente di valutare appieno gli accadimenti in tutta la loro complessa portata. Cosi come non perde mai la capacità interiore, profonda, di «sentire» la propria interezza di essere umano. Non smette mai di pensare alla sua liberazione. La sua resistenza è tanto vitale, anzi, da infondergli la forza di raccontare in diverse forme quanto é costretto a subire. "Nonostante le torture subite".
Con le poesie di Vassilis Vassilikós si accenna alla situazione umana di chi è costretto all'esilio. In questo caso specifico di una donna in esilio il cui compagno si trova chiuso in prigione e con l'impossibilità materiale di comunicare. E c'è poi l'esperienza di un muratore la cui resistenza fisica e morale si esprime con l' intensità, la semplicità, l' asciuttezza, la concretezza di chi è ben allenato a fare i conti con i problemi «spiccioli» della quotidianità e non si lascia piegare: ". le mie mani sono fatte per smontare impalcature e non per firmare a favore del regime".
Fin qui il lavoro si svolge e si muove all'interno delle carceri. Ma, fuori che succede?
Ad un certo punto ho sentito la necessità di fare una trasgressione rispetto all'itinerario che mi ero prefigurato e di dare uno sguardo la dove, quanto più critica è la fase che attraversa una nazione, tanto più determinanti apparati quali la stampa di regime e la propaganda politica e religiosa cercano di deviare il senso della realtà e di minimizzare ciò che accade di straordinario nelle carceri o nei campi di contenzione o anche nella realtà della vita quotidiana. Il loro metodo è quello di sempre: facendo leva sulla paura diffusa della gente, sulle sue difficoltà materiali, sul suo attaccamento alla propria sicurezza, la incitano a " . tener stretto quel poco che ha" , anzi, a tornare indietro in una brutta regressione, " . turatevi gli orecchi se volete morir vecchi". Fuori, in sostanza, viene costruita ad arte dai vertici un tipo di "opinione pubblica" che permette agli stessi di agire secondo e per i propri interessi. Una forma di violenza diversa, più raffinata forse ma altrettanto violenza : quella del terrorismo psichico. Il brano tratto da "Brottladen" di B. Brecht la sintetizza magistralmente.
Quella di Nazim Hikmet, infine, è senza dubbio la forma di resistenza creativa più compiutamente espressa sul piano poetico ed emotivo, la cui grandezza consiste nella semplicità estrema con la quale comunica i percorsi della sua esperienza umana e politica. E' la esperienza particolare e complessa del perseguitato politico, dell'esiliato perenne, di colui che ha vissuto intensamente sia fuori, sia dentro i luoghi di detenzione più disparati e che, ciò nonostante, fino all'ultimo, ha conservato, quasi coltivato quale una pianta rara, preziosa, la propria capacità di amare la donna, il figlio, la vita stessa in tutte le sue manifestazioni: la resistenza dell'amore, amore umano, concreto.
Lavorando alla selezione dei testi, mentre a poco a poco individuavo la materia da raccontare, l'idea da sviluppare, di pari passo andava via via precisandosi il linguaggio musicale, la composizione dei suoni, che mi avrebbe consentito di farlo.Il linguaggio musicale, secondo la dominante musicologia e musicoteoresi, per essere moderno e contemporaneo, necessariamente dovrà "rispecchiare" ed esprimere doverosamente e coerentemente il "disagio" e malessere degli uomini.
E io mi sono sempre domandato : se disgraziatamente a qualcuno capitasse di ... stare anche bene ?... che si fa ? .. deve darsi delle bacchettate di rimprovero sulle mani nel caso in cui una bella e armonica linea musicale gli sfuggisse dal "controllo" imposto dalla cultura musicale dominante o dal proprio "controllo" razionale?. E la cultura dominante ha sempre esaltato ed esalta confondendo volutamente la dissociazione con la libertà.
E la cultura musicale dominante dai tempi di Agostino fino a Xenakis ha sempre castigato qualsiasi espressione artistica che emoziona e appassiona facendo muovere il corpo. E se è vero che il malessere può essere ben espresso dalle dissonanze e disarmonie sonore al contrario l'abbandono al canto libero, al dolore che non è sempre sinonimo di disperazione, al movimento aperto del corpo nella danza, costringono i1 compositore ad un linguaggio musicale dai contenuti affettivi che vadano verso l'ascoltatore e non contro.In questo senso, il recupero della melodicità, la affettività in musica (una mia composizione del '75 si intitola, appunto, "La melodia ritrovata"), non è un sentimentalistico ritorno al passato. E' ridare alla musica e al linguaggio musicale il suo posto in cui ha origine nella storia di ogni essere umano, in quel periodo, il primo anno di vita, che va ". subito dopo la nascita e prima del linguaggio verbale" (M. Fagioli).
Così, in questo lavoro troviamo una lenta ma costante trasformazione delle espressioni musicali. Un viaggio, un passaggio direi che solo al completarsi dell'intera partitura io ho compreso essere stato necessario. Cioè, dalle fortissime tensioni sonore, ci si addentra nelle sensazioni intime dei vari "personaggi" raccontandoli. Quindi e man mano che la narrazione procede, anche sul piano musicale, dai conflitti, dalle tensioni, dai gridi iniziali, emergono melodie e ritmi che progressivamente prendono il sopravvento seguendo lo stesso percorso interno delle esperienze raccontate.
Qui la mia difficoltà di spiegare, verbalizzare il procedere compositivo, il costruire una partitura non per logica ma abbandonandomi alle emozioni in rapporto con il testo e le "immagini sonore" che premevano per essere trasformate in suoni, è pressoché assoluta. Mi fermo qui, mi riprendo uno dei fondamentali "diritti" del compositore musicale, quello di essere libero dall'obbligo di . parlare.
© 1982,1983 Dimitri Nicolau
comparso nei relativi programmi di sala in occasione delle varie rappresentazioni.
Una recensione di W. Tortoreto sul quotidiano IL PAESE SERA