Il Mandolino Ritrovato

 

L’amore segreto che nasce da un suono misterioso, mai sentito prima, fa muovere il corpo verso quel suono con la certezza che quelle onde fisiche che si propagano, la materia sonora, sono create dal rapporto altrettanto segreto e misterioso tra chi suona e l’ignoto strumento. Il piccolo bambino curioso non sa e non immagina nemmeno che il rapporto di chi suona l’ignoto strumento ha un prima, e cioè il rapporto con un testo scritto con quei segni strani e spezzettati che sembrano un disegno e che disegno non sono perché agli occhi del piccolo curioso non compaiono nemmeno delle vaghe figure. Soltanto quei filari orizzontali formati da cinque righe vicine e parallele così precise che sembrano non incontrasi mai nemmeno nell’infinito dello spazio possibile, soltanto loro sono uguali, si ripetono sul foglio, il resto è così affascinante e irregolare e strano agli occhi del piccolo curioso. Quei segni, che l’amico suonatore dice essere molto speciali, basta metterli in un certo modo sopra l’ignoto strumento e diventano onde di invisibile materia che vagano per l’ aria che infine  si posano con lieve energia sulla pelle, effimere farfalle sonore.

E resta un’immagine : l’amico mandolinista si china leggermente con un abbraccio che nella sua solidità è paradossalmente delicato nel movimento delle mani e crea suoni che se diventassero parole racconterebbero storie di amori, di viaggi, di armonie che nascono tra suoni di parole diverse, racconterebbero poesie.

Orecchie curiose, occhi curiosi e poi le mani che non resistono alla lontananza di questo strumento. Tornare a ritrovare l’amico che suona, toccare con trepidazione quella materia inerme, legno lavorato ma sempre legno,  da dove e in un certo modo scaturiscono suoni.

E resta anche un’altra immagine che è diversa da quella di prima, non è il ricordo visivo dell’amico che suona, è la sensazione che resta e permane di quel suono. Certamente non sulla pelle, nemmeno sui timpani delle orecchie, è invisibile però concreto, davvero un gran mistero, eppure si sente quel suono, in una indefinibile parte interna del corpo, incollocabile, diffuso. E la sensazione è certa, la qualità della sensazione è certa. Un’immagine acustica come scrive De Saussure, che non passa dagli occhi pur lasciando la sensazione di un movimento di suoni nello spazio come fossero delle linee, linee curve che disegnano figure in movimento, lunghe e sottilissime come quelle strisce che il bambino con il gessetto colorato in mano lascia correndo lungo il muro sul lato della strada. Ah gia, si racconta del piccolissimo Mozart che scriveva segni simili a caratteri musicali e riempiva i muri della stanza come fosse una grande infinita pagina bianca ascoltando suonare i grandi.

 

Il prima e il poi. Ascoltare, sentire e poi trasformare in suoni. Suoni, non rumori. Viene in mente la frase di un amico:  “… perché bisogna ascoltare tutti i rumori del mondo per trovare un suono” come a suggerire quel certo modo che fa di un percorso creativo essere originale, assolutamente personale e senza copiature, senza scimmiottamenti, furti e identificazioni. Perché è drammatica la sensazione di non avere i “propri suoni”,  sia per l’interprete musicale sia per chi compone. E la cultura ufficiale sta lì, pronta, in agguato, a fornire con i sui sicari le più variegate ricette di intrugli per far calmare quella sensazione divenuta ormai angoscia per il blocco della propria fantasia.

 

E’ stato pressappoco così che ho scoperto tutti gli strumenti musicali, sempre in rapporto diretto con i “suonatori” prima, poi sui libri. Non so, forse sarò stato fortunato a non avere avuto delusioni dai miei primi “maestri” (mandolinista, violinista, chitarrista) ma tant’è che questo modo di fare ha riguardato anche la mia formazione di compositore, prima ho composto molta mia musica, poi ho studiato sui libri.

 

Il primo componimento è una Sonata con Mandolino e Pianoforte, era il 1959.

Dopo, più di venticinque anni,  l’incontro con una bravissima mandolinista olandese mi ha riportato a quei tempi lontani in cui scoprivo suoni nuovi e certamente non era ne la tecnica ne “… il portare alle estreme conseguenze le possibilità dello strumento”  ciò che continuava ad esercitare l’inestinguibile fascino su di me. Da allora e grazie al raporto con bravissimi e stimolanti strumentisti e interpreti un grande numero di composizioni nuove per questi strumenti antichi e moderni insieme, mai perduti ma continuamente ritrovati hanno un posto importantissimo nel mio catalogo. A detta dei cultori e specialisti della musica con i Plettri queste composizioni risultano essere anche originali, esigenti ma anche belle.



Questo scritto è stato pubblicato all’interno del programma Appuntamenti Musicali nell’ Isola Verde, città di Ischia, 2004, dalla Associazione musicale Accademia Armonie