PLECTRUM - Settembre 2005
Importante manifestazione a IschiaA cena con Dimitri …
Intervista
di Fabio GallucciAbbiamo questa sera a cena con noi, nello splendido scenario del castello Aragonese d’ Ischia, Dimitri Nicolau, il compositore greco al quale si deve un sostanziale contributo per la crescita del repertorio mandolinistico contemporaneo.
F.G: Buonasera Maestro. Benvenuto e grazie ancora per la sua disponibilità. Iniziamo dalla più classica delle domande: dove, come e quando ha pensato di voler diventare compositore?
D.N. : Curiosa questa domanda e per il modo che è posta mi porta subito ad un pensiero personale che feci qualche anno fa, quando risposi per un'altra intervista : “… io non sono compositore, io sono un essere umano e faccio il compositore”. Forse ora dovrei aggiungere, e lo faccio volentieri, che io non ho mai pensato di voler diventare compositore, lo sono diventato.
Ero in Grecia, in un paesetto prevalentemente di contadini (a pochi chilometri nel sud di Atene che si chiama Keratea) dove sono nato e dove la musica specialmente quella popolare cantata era elemento fondamentale per ogni occasione nel quotidiano. Si sentiva cantare sempre, specialmente le donne. I media in sostanza non c’erano, pochissime radio e qualche grammofono nelle case dei più abbienti . Erano gli anni a cavallo tra ’40 e ’50. Io ascoltavo molto tutto quello che suonava come musica, ma mi colpivano particolarmente le voci quelle parlate, specie quando avevano certe inflessioni misteriose e curiose che rendevano le parole emozionanti dandole un movimento sonoro interno indefinito ma pregno di un’invisibile agli occhi concretezza d’affetti, come un linguaggio nascosto dentro i suoni del parlato. Dopo molti anni ho letto che questa ricerca era la base per la composizione di Leos Janacek.
Mi sorse spontanea la domanda: “Perché questa musica mi fa un certo effetto, mi dà certe emozioni, mi provoca immagini dentro di me pur indefinite ma di un certo tipo e quest’altra musica affetti, emozioni ed immagini diverse?”. Fu così che partì una mia ricerca personale con i mezzi che allora erano a disposizione. Di capire il perché di queste diversità non l’ho mai cercato e francamente dopo tantissimi anni non l’ho ancora capito, non l’ho ancora capito razionalmente e non lo voglio proprio fare. La mia conoscenza della musica avviene sempre … musicalmente. Mi misi a studiare la realtà dei suoni, la loro scrittura. Un’ intensa e faticosa formazione personale, di scelte personalissime. Nel ’59, a tredici anni, scrissi la Sonata per Mandolino e Pianoforte. Riguardo questa composizione il lettore interessato troverà più ampio racconto in due articoli “Il mandolino ritrovato” e “Un po’ di storia e la scoperta dei plettri” nel mio sito web.F.G: Osservando il catalogo delle sue opere, notiamo che due composizioni su cinque sono per mandolino ( dall’orchestra a plettro al mandolino solo), possiamo quindi affermare che lei ha dedicato tutta la sua vita alla “rinascita” di questo strumento. Com’è nata la sua passione per il mandolino?
D.N.: Intanto posso affermare e senza timore di essere smentito che non ho mai pensato ne vissuto il mio rapporto compositivo con il Mandolino come avessi a che fare con uno strumento “morto”, quindi nessuna rinascita, semmai una continua riproposizione anche se a volte con qualche pausa abbastanza lunga di rapporto da far sembrare un’interruzione, ma una vera e propria perdita di rapporto mai.
Quando guardo il mio catalogo vedo con una certa simpatia che sia le composizioni con i plettri come quelle con i sassofoni occupano un grande spazio. La cosa curiosa è che per entrambi gli strumenti e dai corrispettivi esecutori la stimolazione e sollecitazione a comporre nuove opere avveniva gli stessi giorni. Sarà stato un caso, ero in Grecia, a Salonicco per la prima mondiale della mia “La melodia ritrovata” in cui partitura sia il mandolino che il sassofono hanno una parte importante. I corrispettivi solisti vollero farsi ascoltare e a far sentire suoni e modi di suonare nuovi e molto affascinanti. Io alle loro richieste ho subito risposto. Poi, come si dice, una ciliegia tira l’altra ed eccoci ora qui dopo tanti anni a “rilanciare” con maggiore intensità, passione, interesse e qualche punta di provocazione che non guasta mai.F.G.: Avrebbe mai immaginato di ritrovarsi, a 46 anni dalla sua prima composizioni, qui ad Ischia ospite del 2° Festival Internazionale degli strumenti a pizzico “S. Palma”?
D.N.: Certamente no, ma una cosa la posso confessare, tanto siamo a concerto avvenuto e a quanto pare è stato anche un grande e sincero successo per tutti: Io ho sempre sperato che anche da questa parte dell’Italia (fondamentale per i plettri sia storicamente che musicalmente) si avviassero manifestazioni dal forte carattere propositivo a livello internazionale riconfermando una dimensione mai sopita che è quella particolare e ricca identità culturale partenopea e mediterranea nel senso più ampio e profondo del termine.
F.G: Ci parli, dunque, del concerto monografico a lei dedicato …
D.N.: Mi pare sia andata nel migliore dei modi, no?. Ma riallacciandomi a quello che ho detto prima, vorrei aggiungere riprendendo quello che dissi la sera del concerto, quando mi avete costretto a fare quello che non amo fare e in altre parole a presentare e parlare del mio lavoro. Dissi che un elemento importante e basilare fu quello di aver avuto e mostrato un gran coraggio sia per realizzare questo festival ma anche nel proporre un programma di musica nuova, originale. Dimostrando così, nei fatti, che la mentalità secondo cui c’è bisogno del noto per sedurre e far avvicinare il pubblico a questi strumenti (come fossero dei mostri che emanano radiazioni nocive !) e che il nuovo non fa audience quindi bisogna creare arzigogoli e intrugli da stupide streghe è completamente vecchia e falsa. Bisogna uscire da questa cultura (per me imposta da chi non ha mai amato né considerato la musica come linguaggio umano) che considera il pubblico (la “gente” come diceva in maniera unica la grande Tina Pica) come dei minorati che non sanno discernere tra il già noto e l’ancora sconosciuto che suona nuovo ma sincero. Questo discorso meriterebbe uno spazio molto ampio e approfondito e per questo, al momento, preferisco fermarmi qui.
F.G.: Per concludere, si sentirebbe, da compositore ed amante del mandolino, di fare un augurio a questo nobile strumento a tutto il “mondo mandolinistico” ?
D.N.: Non avere paura del nuovo (quello vero e sincero non lo pseudotrasgressivo e superficialmente provocatorio che lascia le cose come prima, anzi peggio di prima), avere e prendersi sempre maggiore coraggio per sviluppare l’identità dello strumento ma soprattutto l’identità di chi lo suona, la propria identità umana con una formazione artistica e tecnica senza anteporsi limiti dettati da moralismi musicologici ( tipo : … la gente vuole divertirsi, distrarsi, non impegnarsi all’ascolto ecc.). Separarsi da quei “padri” ignoranti e violentemente impotenti, dai loro continui ricatti per cui tutto è stato detto, tutto è stato fatto e tutto è un continuo ripetersi e ritornare come se il tempo umano non esistesse, come se non ci fosse il prima e un poi.
Grazie.F.G.: Grazie a lei ed arrivederci a presto.